Osservatorio per la Qualità della Vita

Ancora su Industrialismo e Ambientalismo?
Scopriamo che ci sono sindacati che si sentono ancora “cinghia di trasmissione”. Ma non più del partito, ora dell’impresa. È la novità del terzo millennio. Incapaci di comprendere le sempre nuove richieste di una società che cambia, non riescono a vedere altro tipo di sviluppo che quello legato a grandi produzioni, grandi inquinamenti, grandi pericoli. Meglio ancora se le tecnologie sono scarse e gli impianti sono obsoleti. Così da non fare emergere l’incompetenza. Residui di immobilismo industriale che rifiutano di accogliere le indicazioni in perpetua evoluzione dei tempi. Invece di contribuire alla soluzione dei problemi di sicurezza e produttivi-occupazionali-ambientali, scelgono la rinuncia, ammantata di falso operaismo, ad affrontarli. Appiattendosi, di fatto, sulle posizioni delle imprese meno innovative.

L’evoluzione del tessuto produttivo ligure dalla grande industria inquinante alla medio-piccola impresa più “pulita” ha portato, dati alla mano, a un certo grado di sviluppo dimostrando come si può riuscire a smuovere un sistema troppo a lungo immobilizzato nella passiva sudditanza al grande, al pesante, allo sporco, per indirizzarlo verso attività meno distruggenti e più proficue. Ed ha confermato che la struttura industriale pesante/inquinante è caratteristica primitiva nella cronologia delle fasi di sviluppo, paradigma di un’arcaica necessità d’accumulo ormai spenta, culturalmente residuale e, dunque, sempre più confinata fra quelle società – che vivaddio non sono più le nostre – che mettono in atto con fatica i loro primi tentativi di espansione economica. Ma ha svuotato di qualche ragione un sindacalismo ingessato disarmandone gli strateghi che, già privati di consenso per l’infinita ghirlanda di errori commessi (come non ricordare, nel savonese, il famigerato Protocollo Gran Pasticcio di Ferrania di cui menavano gran vanto ma che si è infine dimostrato per quello che era: una “bidonata” a danno dei lavoratori e dell’intera comunità, e perfino della proprietà), si trovano a non avere quasi più truppe. Ora, per rimpolpare le file decimate dal (meritato) tracollo di credibilità cosa c’è di meglio di una “forte battaglia” per qualche vecchio “-ismo” recuperato dal vocabolario d’altri tempi? E se per questo bisogna mettere a repentaglio la salute di lavoratori e popolazione, devastare l’ambiente, abiurare idee, abbracciare antiche controparti, svendere il proprio sigillo, sostenere lavorazioni squalificanti da quarto-quinto mondo? Nessun problema. Per loro.

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